Trama e Recensioni

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La dea dell'amore  La dea dell'amore        
        

Trama:

La dea dell'amoreUn coro greco nel teatro di Taormina introduce la vicenda e interviene a sottolinearne i momenti essenziali. Lenny, un giornalista sportivo, si lascia convincere dalla moglie Amanda, che intende aprire una galleria d'arte, ad adottare un bambino. Il piccolo cresce e diventa un ragazzino intelligentissimo; i genitori, invece, sono in crisi. Amanda trascura Larry per il lavoro e ha una relazione con un gallerista. Larry decide di rintracciare la vera madre del bambino e, con uno stratagemma, scopre che si chiama Linda Ash (in arte Judy Orgasm) e che lavora come prostituta e attrice porno. Larry la avvicina e finisce per stringere con lei un rapporto d'amicizia senza alcuna implicazione sessuale. L'uomo vorrebbe farle cambiare vita, ma i suoi sforzi sono vani. Dopo essere venuto a conoscenza che Amanda lo vuole abbandonare e dopo essere giunto ad un accordo con il protettore di Linda, Larry la va a trovare e fa l'amore con lei. Dopo qualche tempo, Larry e Amanda tornano insieme; Linda, invece, scompare. In seguito, Larry incontra Linda in un negozio di giocattoli e apprende che la giovane si è sposata e che ha una nuova professione. Linda ha avuto un figlio da Larry, ma non glielo rivela. Anche Larry tace e non spiega a Linda che il bambino che è con lui è in realtà il neonato che la ragazza aveva abbandonato anni prima.

Sali   


Recensione di Emanuela Martini, "FilmTv" anno 4 n° 6:

    Humour d'alta classe per l'ultimo film di Woody Allen che ci fa riscoprire tutto il piacere dell'invenzione comica. E sostituisce il lettino dello psicanalista con il coro greco.

Ventiquattresimo film di Woody Allen e grande, paradossale, imprevedibile colpo d'ala della comicità dell'autore-interprete. Dopo la crudeltà di "Crimini e misfatti", le amarezze di "Ombre e nebbia" e "Mariti e mogli" e il ritorno alle ironie lievi e familiari di "Misterioso omicidio a Manhattan" e "Pallottole su Broadway", Woody Allen;in sottotono, senza autocommiserazione e con invidiabile autoironia, azzecca la scommessa di mescolare i guai quotidiani e "scandalosi" della sua vita privata, le abituali nevrosi newyorkesi e il piacere sfrenato per la messa in scena, la rappresentazione, qualsiasi rappresentazione. Un coro greco, un vero coro greco, tutto impaludato e inquadrato nel suo ambiente naturale (il teatro greco di Taormina) prende il posto del divano dello psicanalista e contrappunta e sottolinea amori, incontri, casi, fatalità della vita di un pezzetto di varia umanità newyorkese. Sulla carta, un progetto arrischiatissimo, che in mano ad Allen, però, si è trasformato in un piccolo capolavoro di equilibrio visivo e narrativo, di humour, di esemplare tempismo comico e cinematografico. Il corifeo Murray Abraham comincia a irrompere imprevisto e autoritario nella vita di Woody; il coro, piano piano, da classico si trasforma nel corpo di ballo di un musical, e inneggia a Zeus come su un palcoscenico di Broadway. E, più travolgente di tutti, la giovane attrice porno e prostituta Mira Sorvino devasta certezze, gusto e abitudini del protagonista. Un film che è impossibile doppiare (per le esibizioni del coro e per l'impagabile voce artefatta della Sorvino), e che ci restituisce tutto il piacere dell'invenzione comica.

Sali   


Recensione di Alberto Crespi, "L'Unità", 28/1/96:

La dea dell'amore[..] Decisamente il film più comico che Woody abbia scritto e diretto da vari anni, contiene un sottotesto inaspettato e curioso che lo stacca decisamente da alcuni precedenti film "seri" come "Crimini e misfatti" e in generale tutti quei titoli con i quali Woody ha tentato di depistarci, facendoci credere di amare più Bergman e Dreyer che il baseball e i grattacieli di Manhattan. Partiamo, quindi, [..] da questo sottotesto che ci consentirà, per le prossime dieci righe, di scrivere qualcosa di diverso dalle recensioni degli anni scorsi. Il sottotesto è il Coro: un Coro da tragedia greca - le famose sequenze girate nel teatro di Taormina - che, proprio come ai tempi di Eschilo, commenta l'azione dei personaggi, che però agiscono nella New York nevrotizzata di oggi. Detta così, potrebbe sembrare una cosa seriosa e intellettuale: invece il Coro di Woody è una buffonata, tenuta sul filo di rasoio (siamo sicurissimi che qualunque altro regista ne avrebbe fatto la scemenza del secolo) grazie a un umorismo a prova di bomba, e risolto, alla fine, in una sequenza che è la chiave del film, ma anche - tenetevi forte! - di tutto il cinema "alleniano". Parliamo della scena in cui il Coro, ormai semi-brillo, si mette a ballare e canticchiare in purissimo stile Broadway. Eccola, la prova provata: Woody Allen è un uomo colto, un grande intellettuale, un ebreo che ha frequentato Freud e conosce Marx (Karl, non Groucho), un cinefilo che adora Bergman e Fellini, ma è prima di tutto un uomo di spettacolo americano le cui radici sono lì sui palcoscenici di Broadway".

Sali   


Recensione di Alfio Cantelli, "Giornale", 28/1/96:

Come tutti i film di Woody anche "La dea dell'amore" è da vedere, certo non da raccontare, animato dai dialoghi spiritosi fatti questa volta anche di brutte parole, dai guizzi del destino, dalle situazioni paradossali. Come quella del primo incontro della pornodiva con lui nella veste di sedicente esperto di amori mercenari, o quando Woody tenta invano di combinare il matrimonio di Mira con un pugile suonato: «Mica t'avevo detto che era vergine». «Ma non a quel punto», obietta il pugile non tanto suonato. Il coro greco guidato da Murray Abraham, che strada facendo si è trasformato in un frenetico balletto, continua a invitare a non prendere come una tragedia i doni della vita, i personaggi ne seguono le imbeccate, e la commedia, senza essere un capolavoro, si muove agilmente, spiritosa e anche seria nel mostrare l'alienazione femminile prodotta dal commercio del proprio corpo. [..]

Sali  


Recensione di Valerio Caprara, "Rivista del Cinematografo":

Difficilmente si sopporterebbe da un altro regista lo stesso ritorno al rigoroso leit motiv autobiografico che Woody Allen propone ormai con cadenza stagionale. "Mighty Aphrodite", in effetti, è soprattutto il nuovo round del suo interminabile match con i complicati quiz erotici per borghesia bianca più o meno intellettuale ambientati tra le nevrosi e i grattacieli di Manhattan. Il piccolo ma squisito miracolo cinematografico si rinnova ed il pubblico potrà goderne come sempre, interrogandosi (al massimo) sul posto da assegnargli in graduatoria di merito tra "Pallottole su Broadway" e "Misterioso omicidio a Manhattan".

Sali  


Recensione di Sebastiano Tecchio, "Tempi Moderni":

La dea dell'amoreIl titolo "La dea dell'amore" si ispira alla dea greca dell'amore, ad Afrodite. La storia ha un collegamento alla tragedia classica, grazie all'idea di Allen di reinventare il tradizionale coro greco, che qui ha la funzione di commentare le gesta degli amanti dei nostri giorni.
Lenny (Woody Allen) cronista sportivo, è sposato con Amanda (Helena Bonham Carter). Decidono di adottare un bambino. La curiosità spinge Lenny a cercare la vera madre del piccolo e dopo varie ricerche scova Linda (MIra Sorvino), nome d'arte Judy Orgasm, attricetta di film porno, la cui vita è un vero disastro. Più per prevenire un fututo shock a suo figlio che per compassione per Linda, Lenny s'impegna ad aiutarla ad avere una vita più dignitosa...
Forse "La dea dell'Amore" non è tra i migliori film di Woody Allen, eppure è sempre un vero piacere assistere alla leggerezza ed all'intelligenza di questo grande autore. Solitamente i grandi artisti dividono sempre il pubblico in due - c'è che li adora e c'è chi non li sopporta. Raramente vedrete qualcuno alzare le spalle con indifferenza a proposito di Woody Allen. Ma io vorrei, seppure timidamente, invitare quella fetta di pubblico che dice 'no' a Woody Allen, a riconsiderare le proprie posizioni, a sperimentare le sensazioni del Woody Allen di oggi. Infatti, se per anni i film di Woody Allen sono stati molto definiti, molto alleniani se così si può dire, man mano che passa il tempo, il suo cinema si fa sempre più raffinato. Piano piano, così come l'incedere costante del tempo sta assottigliando i tratti esteriori di Allen, anche il personaggio-Allen, la mente-Allen si sta facendo meno ingombrante, più sottile. La riproposizione dei temi prediletti dal regista, le ambientazioni, i personaggi, non sono, al contrario di quanto possono affermare alcuni suoi detrattori, semplicemente conformi a se stessi. Hanno anzi il doppio effetto di mettere a proprio agio lo spettatore, di accoglierlo come il ritorno ad una cara e vecchia casa dai profumi e i colori conosciuti, ed allo stesso tempo di offrirgli la visione della propria evoluzione, del proprio cammino. In fondo è questo il percorso di ogni artista. L'affinare se stesso, come lo scultore che affina la propria tecnica, ma ancor di più, il proprio pensiero, la propria emotività. Quello che si compie in un'unica opera, si compie nell'insieme della propria opera.

Sali   


Critica da "Il Mereghetti 2000":

Per raccontare un dramma sul male di vivere che rischia di scivolare nella farsa (e sul problema morale più che biologico, della paternità), Allen contamina la commedia con la tragedia, facendo interagire i protagonisti con un autentico coro greco che dal teatro di Taormina commenta gli avvenimenti e interviene nell'azione. Ma nonostante l'abituale e malinconica leggerezza e una strepitosa Sorvino (giustamente premiata con l'Oscar per la miglior attrice non protagonista) il film rimane un'esile commedia degli equivoci, più compiaciuta che davvero divertente.

Sali


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