Woody Allen eterno ultimo

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Accordi e disaccordi  Accordi e disaccordi       
     

Woody AllenLa voce, un mix di slanci adolescenziali e sussulti nevrotici, è simile a quella che Oreste Lionello gli presta per gli schermi italiani. La figura, esile esile, quasi scompare nel grigio del maglione ampio e nei pantaloni di spesso velluto. Con il viso bianco segnato da rughe sottili di ragazzino invecchiato, Woody Allen è l'esatto clone del se stesso cinematografico, reso anche più evanescente dalla grandiosità del salone del grande albergo veneziano dove lo incontriamo. Anche se è Woody Allen e nonostante le 22 nomination e i Tre premi Oscar totalizzati in 35 anni di carriera, è timido, gentile, perfino un po' impacciato.

Oltre al cinema le ha una passione per la musica. Lo dimostra in questo "Accordi e disaccordi" dove il protagonista, Emmet Ray, un immaginario grande della chitarra, è il numero 2 del jazz anni '30. Autobiografico?
«Suono da sempre il clarinetto, ma non posso in alcun modo paragonarmi a Emmet Ray. Lui era un genio, secondo solo a Django Reinhardt, invece di musicisti migliori di me ce ne sono a milioni».

L'Emmet Ray della finzione idolatra Django Reinhardt e sviene solo a sentirlo nominare. I suoi miti?
«Sidney Bechet era il mio idolo. Oggi anche mia figlia si chiama Bechet».

E suo figlio, Satchel. Dicono che nel dargli quel nome lei abbia pensato ad Armstrong.
«Non è vero. Ho pensato invece a un giocatore di baseball afroamericano, Satchel appunto, che era bravissimo ma fu apprezzato molto tardi per i pregiudizi legati al colore della sua pelle. La vita degli atleti mi interessa e per di più lui era una persona meravigliosa».

In "Accordi e disaccordi" il protagonista è un eterno secondo, frustrato di non essere il primo. Una smania, quella di essere vincente, molto diffusa soprattutto negli Usa.
«Tutti cercano di essere il migliore, è un'idea molto popolare, ma ci sono alcunio come me che considerano impensabile poter essere il numero 1 o anche solo il numero 2 o 10. La mia mentalità è diversa, non ho i problemi di Emmet Ray che era un grande ma era anche egoista, difficile, vanitoso. Io non sono un grande, non sono un artista, sono una "nice person", una persona perbene che fa dei film, alcuni dei quali anche buoni. Ma non ho l'ambizione di essere il numero 1. Mi basta che il mio lavoro sia anche un modo molto piacevole di vivere, ma non sarò mai il più grande».

Lei ha detto una volta che se un suo film riesce a mettere a disagio anche un solo spettatore sente di aver fatto un buon lavoro…
«In America tutti cercano di fare film che chiamano "Feel Good Movie", film per farti sentire bene. Sono quei film che parlano di bambini e dei loro cani, del Natale; storie sentimentali con un Happy End. Quelli che fanno dire alla gente: "Oh, lo devi proprio vedere: è un film che ti fa sentire bene!". Personalmente voglio l'esatto contrario. Voglio che i miei film facciano pensare alla vita, a quanto è difficile vivere, a quanto di crudele e terribile possiamo fare agli altro. Se la gente dopo un mio film si sente a disagio, colpita nel profondo, per me è meglio che se uscisse dal cinema sentendosi bene e rassicurata. Ma mi piace che il contesto sia divertente».

Lei ha anche detto che se la sua psicanalisi fossa andata avanti troppo l'avrebbe interrotta e sarebbe andato a Lourdes. L'ha fatto?
«Non sono andato a Loudes e ho finito l'analisi. Ma non ero poi conciato tanto male!».

Internet dice che lei ha interpretato un film, "Loud and Clear", per 6 milioni di dollari…
«Falso. Circolano un sacco di notizie nel mondo dello spettacolo che giovano al business. Questo è un film che non si farà mai, anche se è nelle intenzioni della produzione e anche se un anno fa erano venuti a chiedermi se sarei stato disposto a farlo e io avevo detto sì».

In "Picking up the Pieces", lei è il marito di Sharon Stone. Una bella posizione?
«Non tanto. Perché ammazzo mia moglie, cioè Sharon, quasi subito all'inizio del film. Sharon Stone ha fatto con me il suo primo film, "Stardust Memories", ma allora non sapevo che sarebbe diventata la diva che è oggi».

Una frase mi è rimasta impressa in "Pallottole su Broadway" sembra dar ragione a un vecchio adagio. Dice pressappoco: in arte e in amore tutto è permesso…
«Non credo che nessun amante e nessun artista debbano godere di una considerazione o di un trattamento speciale, che siano comunque visti diversamente da qualsiasi altra persona».

Qual è la sua più grande aspirazione?
«Riuscire a fare un grande film, un capolavoro che si possa mostrare nei cinema insieme ad altri di autori che ammiro moltissimo, come "Ladri di biciclette" di De Sica, "La grande illusione" di Renoir, "Rashomon" di Kurosawa, "Il settimo sigillo" di Bergman. Grandi, grandissimi capolavori che considero per il cinema quello che Shakespare è per il teatro. Vorrei fare almeno un film così».

Cosa vedremo dopo "Accordi e disaccordi"?
«"Small Time Crooks". E' già uscito negli Stati Uniti. E' molto divertente, ci siamo io, Tracey Ullman, Elaine May, Michael Rapaport, Hugh Grabt. E' una commedia che ti invita a sederti in poltrona, a guardare, a divertirti e poi andartene».

Nuovi progetti?
«Ho cominciato a scrivere una sceneggiatura proprio a Venezia, una città che amo moltissimo. E' una commedia… un po' seria, però!».

Sali 


Tratto da FilmTv anno 8 n°24 - Pubblicazione amatoriale, non si intende violare nessun copyright