Woody
ama Soon-Yi!
Woody Allen e Soon-Yi, dopo
l'ufficializzazione del loro rapporto
Mia con tre dei suoi
figli
Woody e Soon-Yi a Venezia per la Mostra
del Cinema |
Il giorno dopo non avevo impegni
di lavoro, così accompagnai uno dei miei figli a una seduta con la psicologa, a casa di
Woody. Aprii con la chiave nascosta sotto il portaombrelli accanto all'ingresso e mi
ritirai nel solito salottino d'angolo a leggere Il legno storto dell'umanità, di Isaiah
Berlin. Woody, sapendo che mi avrebbe trovata lì, mi telefonò dagli studi.
Chiacchierammo del più e del meno come facevamo sempre, più volte al giorno, poi
riagganciai e mentre mi voltavo verso il centro della stanza scorsi, sulla mensola del
caminetto, una mazzetta di foto polaroid: una ragazza nuda, con le gambe divaricate. Mi ci
volle qualche istante per rendermi conto che si trattava di Soon-Yi. Ero scossa da un
tremito incontrollabile. Telefonai agli studi e lasciai detto che avevo assoluta urgenza
di parlargli. Qualche minuto dopo Woody mi richiamò.
«Ho trovato le foto» dissi. «Stai alla larga da noi.»
Riattaccai. Misi le foto in borsetta, infilai il cappotto al bambino e tornammo a casa. In
cucina trovai Mavis e la baby-sitter.
Incrociai Sascha nel corridoio. «Woody si sta scopando Soon-Yi. Chiama André.» Andai in
camera di Soon-Yi e le mostrai le foto. «Cosa hai combinato?» urlai.
Mi chiusi in camera e cercai inutilmente di mettermi in contatto con André. Respiravo a
fatica. Avrei voluto fare un bagno.
D'un tratto Woody comparve sulla soglia. Cercai di spingerlo fuori, singhiozzando.
«Sono innamorato di Soon-Yi» dichiarò. «Vorrei sposarla.»
Impiegai un attimo a reagire. «E allora prenditela» sbottai. «E vattene.»
«No, no» ritrattò subito. «È solo una cosa che ho pensato di dire mentre venivo qui.
Non è quel che sento. Non è quello che voglio.»
«Vattene!» ripetei tra i singhiozzi. «Cosa dovrei dire ai ragazzi? Che il loro padre
vuole sposare la loro sorella?» Ma lui non si mosse. Mi lavai la faccia. Volevo
immergermi nella vasca.
Rimase lì, in camera mia, a parlare e parlare. Per quattro ore.
«Cosa le hai fatto?» chiesi.
«Credo che sia stato positivo per lei. Le ha dato un po' di fiducia.»
«Fiducia in che?» esplosi. «L'hai indotta a tradire tutto e tutti. E hai il coraggio di
dire che è un fatto positivo?»
«Ti amo» continuava a ripetere lui. «Usiamo questo episodio per proiettarci in un
rapporto ancor più totale.»
«E il rapporto tra me e Soon-Yi? E che cosa proveranno gli altri?»
«Dobbiamo tentare di lasciarci tutto alle spalle» suggerì, persuasivo.
«Ma come è possibile far finta di niente? È mia figlia. La sorella dei tuoi figli.»
«Mi dispiace. Ho perso il controllo. Non succederà più. Posso solo dire che mi
dispiace.»
«Da quanto?» domandai. «Da quanto va avanti questa storia?»
«Non saprei. Qualche mese.»
«Cosa significa "qualche mese"?»
«Non so» ripeté. «Senti, è stata solo una cosa di poco conto che probabilmente
sarebbe durata ancora solo poche settimane. Ho detto a Soon-Yi che non doveva aspettarsi
niente. L'ho incoraggiata ad andare a letto con altri.»
«Vattene.»
«Senti, mettiamoci una pietra sopra. È stata una cosa da nulla. Un'aberrazione.»
Io non avevo smesso un istante di piangere. «Mi fidavo di te, ci fidavamo tutti di te.
Pensavamo che fossi una persona per bene, non che scopassi una ragazzina!»
In quel momento Sascha bussò alla porta. «C'è André al telefono.»
«No, no!» supplicò Woody disperato, piegandosi in due. «Non dirlo ad André. Non
dirglielo.»
Presi il ricevitore. «Woody si è scopato Soon-Yi.»
«Oh, che cosa umiliante» gemette Woody, sul pavimento. «Oh, il mio stomaco. Aaah,
aaah.»
«Cos'è questo rumore?» volle sapere André.
«Woody che si rotola sul pavimento» risposi.
«Caccialo subito da casa tua!» ordinò André, dalla California.
«Ci sto provando, ma lui non se ne va. Cosa devo fare? E cosa faccio con Soon-Yi? Puoi
tenerla con te fino alla fine delle vacanze? Fino a quando torna all'università? È anche
tua figlia. André, ho bisogno di aiuto.»
Ma André non sapeva come intervenire. Era scosso, furibondo, inorridito e disgustato. Non
voleva parlare con Soon-Yi e di certo non la voleva nella sua abitazione newyorkese.
Woody, per quanto lo implorassi, non voleva andarsene. Non stava zitto un momento, si
ripeteva all'infinito. Mi disse tutto quello che avrei voluto sentirmi dire nei dodici
anni passati insieme. «Potremmo anche contemplare l'eventualità di sposarci, prima o
poi.» Ma io continuavo a ripetere: «Non so, non so».
«Sto malissimo» diceva lui. «Ma dobbiamo superare tutto questo. Ti amo. Ti chiedo di
avere fiducia in me. Di me ti puoi fidare. Con il tempo te lo dimostrerò. Per quanto
orrenda, questa storia mi ha insegnato qualcosa, e ora come ora non potresti trovare un
uomo più affidabile di me sulla faccia della terra.»
«Non so» ripetevo. «Ho bisogno di fare un bagno.»
Quando andai nella mia stanza da bagno trovai Satchel rannicchiato sotto il lavandino.
Doveva avere sentito tutto. Lo affidai alla baby-sitter.
Woody andò a parlare con Soon-Yi; a dirle, a quanto dichiarò, che quella relazione era
stata un errore e doveva finire.
La vasca era ormai piena quando lui ricomparve in camera mia.
«Adesso vattene, per favore. Ora mi caccio in acqua e tu te ne vai e basta.»
Riattaccò a parlare a getto continuo e alla fine mi arresi. Mi buttai sul letto, esausta.
Quelle ore in camera mia erano diventate un mondo a parte. C'erano momenti in cui
esprimevo rabbia, incredulità, orrore; altri in cui lui tornava a essere l'uomo che amavo
con tutta me stessa, di cui avevo bisogno. A un certo punto lui mi baciò e io, sempre
piangendo, ricambiai. «Fidati di me» diceva. «Ti amo.» Mi cullava come fossi una
bambina. «So di aver fatto una brutta cosa» diceva. «Ssst. Posso solo prometterti che
non accadrà più. Farò di tutto per renderti felice. Vedrai.»
Alla fine riuscii a mandarlo via uscendo io stessa dalla stanza. Lui, senza mai tacere, mi
seguì fino all'ingresso e sul pianerottolo, e stava ancora parlando quando chiamai
l'ascensore e mentre le porte si richiudevano.
Feci il bagno. Chiamai Matthew a Yale e gli dissi che era successa una cosa terribile.
Meno di un'ora dopo i ragazzi erano riuniti attorno al tavolo di cucina. Sascha aveva
riferito l'accaduto ai più grandi. Non a Dylan, si intende. Satchel sapeva quel che
sapeva. Fu una cena silenziosa, all'insegna dello sbigottimento. Poi arrivò Woody che
prese posto accanto a Dylan come se nulla fosse accaduto, disse ciao a tutti e cominciò a
chiacchierare con i due più piccoli. Uno dopo l'altro, Lark, Daisy, Fletcher, Sascha e
Moses presero i rispettivi piatti e sparirono nelle loro camere chiudendo le porte.
Non sapevo cosa fare. Uscii dalla cucina e poi, dal corridoio, dissi a Woody: «Non puoi
venire qui a sederti con noi come se niente fosse. Le persone hanno dei sentimenti,
sentimenti profondi». Mi invitò ad andare in soggiorno e ci fu un'altra ora in cui lui
continuò a blaterare e io a piangere. Non ricordo neppure cos'abbia detto. Per parte mia
continuavo a supplicarlo di andarsene. Alla fine se ne andò.
Dopo il 13 gennaio non lo lasciai mai più solo con alcuno dei miei figli.
A un certo punto, verso la fine di quella prima settimana, andai a parlare con Soon-Yi.
Lei era seduta sul pavimento, con il telefono in grembo. Le chiesi quando fosse iniziata
quella storia. «Durante l'ultimo anno delle superiori» rispose. Emersero particolari
sconcertanti. Mi scagliai su di lei, la colpii al volto e alle spalle. Piangendo, andai in
cucina. Da là sentii Soon-Yi che singhiozzava: «Sono cattiva. Sono cattiva».
Che cosa dovevamo fare?
Tornai in camera sua e le dissi che le volevo bene. «Non avrebbe dovuto farci una cosa
del genere» dissi. «Non dovremmo trovarci in questa situazione.»
Era mia figlia, ma non potevo aiutarla. Quasi non riuscivo a guardarla. I nostri rapporti
erano cambiati. Questa era una cosa che dovevamo affrontare ognuna per conto proprio.
Presa dalla rabbia, lei minacciò di uccidersi. Presa anch'io dalla rabbia, le dissi che
l'odiavo. Fu un sollievo quando tornò al college. Le volevo bene, sentivo la sua mancanza
e mi preoccupavo per lei, ma mi era difficile starle vicino. Lei promise che non avrebbe
più avuto alcun contatto con Woody e, se lui le avesse telefonato, avrebbe riagganciato.
Le crisi di panico sono attacchi di puro terrore. Ne ho avute quattro in vita mia, tutte
tra il gennaio e il marzo del 1992. Furono settimane di notti insonni in cui, infuriata e
in lacrime, telefonavo a Woody e gli esprimevo tutta la mia rabbia per ciò che ci aveva
fatto. Alcune notti lui mi chiamava dieci o venti volte, e io riappendevo. Altre volte lo
chiamavo per dirgli: «Ti prego, non lasciarmi adesso, ho tanta paura». Non riuscivo a
tagliarlo fuori dalla mia vita, ma non potevo neppure guardarlo in faccia. Quando
l'angoscia mi attanagliava, lui era la persona di cui più avevo bisogno. Ma era stato
un'enorme delusione. Adesso, ripensando agli anni trascorsi, capivo che erano stati
lastricati di menzogne e inganni.
Per il mio compleanno Woody mi regalò le poesie di Emily Dickinson, in tre bei volumi
rilegati in pelle, e mi invitò a cena al Rao's.
In quel periodo scrissi una lettera a Maria Roach, l'amica d'infanzia in California.
Cara Maria,
sono arrivata pericolosamente vicina a una completa fusione del mio essere. Ora capisco di
non aver avuto una chiara visione della realtà e di aver trascorso dodici anni con un
uomo che è stato capace di distruggermi e di indurre mia figlia a tradire sua madre, la
sua famiglia, i suoi princìpi, lasciandola moralmente devastata, priva di legami con me.
Non riesco a immaginare un modo più crudele di perdere un figlio, o il compagno e, con
loro, una parte preziosa della mia vita. Ho passato lunghi anni con un uomo che non aveva
alcun rispetto per tutto ciò che mi è sacro: né per la mia famiglia, né per la mia
anima, né per il mio Dio, né per le mie aspirazioni più nobili. Ma in fondo devo
compatirlo. Ha sciupato e mutilato quella parte di sé che si rafforza con la rettitudine
e si annulla con le male azioni: c'è qualcosa di più prezioso in noi? E oggi eccomi qui,
con una lucida visione, a contemplare un futuro ignoto. Mi ci addentrerò lasciandomi i
fardelli alle spalle, portando solo l'essenziale, con la speranza che una nuova vita
prenda forma da sé. |