Il
mio circo delle celebrità
Il successo secondo il regista che parla di
"Celebrity" presentato, dopo Venezia, al Festival di New York.
Dopo
il festival di Venezia il film di Woody Allen "Celebrity" approda negli
Stati Uniti, dove ha aperto il festival di New York in attesa della sua uscita il 13
novembre. Girato in bianco e nero con la fotografia di Sven Nyqvist (con cui Allen torna
per la prima volta da "Crimes e Misdemeanors"),
"Celebrity" segue la vita di un giornalista di gossip, Kenneth Branagh (un alter ego cinematografico di Woody Allen),
che insegue senza successo una serie di belle donne interpretate da Charlize Theron, Famke
Janssen e Winona Ryder, usa a suoi fini divi come Melanie Griffith
e Leonardo di Caprio, mentre la sua ex moglie, Judy Davis, trova i suoi 15 minuti di fama
e l'amore con Joe Mantegna. Le prime recensioni al film sono miste: negativo Variety,
entusiasta l'Hollywood Reporter. Lui, Woody Allen, segue con apprensione le sorti del suo
nuovo film. Lo abbiamo incontrato al termine della proiezione.
Partiamo dalla scena in cui Melanie Griffith sostiene
che quello che fa dal collo in su, sessualmente, non è adulterio.
«Ma è verissimo! La gente fa distinzioni del genere, che il sesso orale
ufficialmente non è sesso e la ragazza che lo ha fatto con cento uomini prima di sposarsi
può presentarsi vergine al marito! È quello che dice il presidente degli Stati Uniti
proprio adesso, che il tipo di sesso che ha fatto con la Lewinsky non è sesso reale
perché orale. Questa è la cultura in cui viviamo, è completamente pazza ma la gente fa
queste distinzioni e ci crede. È il nodo più debole nella difesa del presidente Clinton
e anche di Melanie Griffith, una scena che ho scritto,
intendiamoci, molto prima di sapere di Clinton e dell'attuale scena politica».
Che sensazioni prova di fronte a questa scena?
«È un triste spettacolo, da cui nessuno esce vincitore. I repubblicani farebbero
qualunque cosa per danneggiare il presidente e arrivare a un impeachment perché gli fa
comodo; i democratici lo appoggiano o lo abbandonano a seconda dei loro interessi
personali; il pubblico accetterà qualunque cosa Clinton voglia fare perché l'economia è
buona, ma lo abbandonerebbero in un istante se non lo fosse. Non c'è un vero conflitto
morale sul soggetto, ma ci dice qualcosa di profondamente triste sulla moralità nel
paese. E i media si sono comportati molto male in questa situazione, perché continuano a
bombardare il pubblico con notizie di cui la gente farebbe volentieri a meno».
Come è nata l'idea per questo suo film sulla "celebrità"?
«Ho pensato che il concetto di celebrità è molto strano negli Stati Uniti: persone
come il marito di Lorena Babbit, o Charles Manson, o un prete che chiede soldi in
televisione sono celebrità; giovani attori come Leonardo Di Caprio vengono ingigantiti in
modo spropositato. È un fenomeno curioso, in questo paese. E poi volevo vedere se potevo
fare un film con un grosso cast, su una storia personale come ho fatto altre volte, di
divorzio e rapporti, ma giocata in un'arena pubblica, fra sfilate di moda, discoteche,
sale di proiezioni, quei posti dove si congregano le celebrità. Ha richiesto molto sforzo
da parte mia».
Come mai ha affidato la parte a Kenneth Branagh?
«Inizialmente scrivendo il film avevo in mente Alec Baldwin, ma poiché era impegnato
in un altro film ho pensato a Kenneth, che è un uomo che le donne trovano molto
attraente. Il mio unico dubbio era se sarebbe stato in grando di fare un accento
americano, ma poi ho visto un pezzetto del film che ha fatto con Robert Altman, The
gingerbread man, e mi sono tranquillizzato. Non avevo mai pensato di recitarlo io perché
ho scritto il film per un quarantenne affascinante sia pur emotivamente fallimentare. Se
lo avessi recitato io, anche se fossi stato più giovane, sarebbe stato comico, mentre
invece io lo volevo serio».
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Quanto c'è di vero in quello che abbiamo letto ultimamente sugli scontri fra lei
e Leonardo di Caprio?
«Assolutamente nulla. Tutto quello che avete letto è totalmente finto, invenzioni
prive di qualunque rapporto con la realtà, come quando dicevano che mia moglie era
incinta, o come se dicessero che io sono stato rapito da una nave spaziale. Non potrei
immaginare un ragazzo più dolce di Leonardo, sia io che lui non vediamo l'ora di tornare
a lavorare insieme. È un meraviglioso attore, non è certo il "sapore del
mese", come alcuni l'hanno definito, è un attore genuino che continuerà a essere
grande molto tempo dopo di me».
Come mai in questo film non ha lavorato con il suo abituale direttore della
fotografia, Carlo Di Palma?
«Carlo è un mio grande amico, sono sicuro che lavoreremo ancora insieme, ma ogni
anno veniva a New York per fare un film con me e ogni anno diceva che non ne aveva nessuna
voglia. È uno dei più grandi direttori di fotografia nel mondo e una persona
meravigliosa, sono molto vicino a lui e sua moglie. Avevo già lavorato con Sven Nyqvist,
che per qualche anno è stato impegnato in altri progetti, ma questa volta abbiamo potuto
girare insieme questo film. Mi piace lavorare sempre con le stesse persone».
Come mai la scelta stilistica del bianco e nero?
«Perché ho sempre amato i vecchi film in bianco e nero, e in questo momento della
mia vita il bianco e nero mi offriva una sensibilità romantica ed evocativa che mi si
confaceva di più, come quando ho girato "Manhattan"».
Lei ha avuto la sua dose di linciaccio da parte dei media. Quali sono i vantaggi e
gli svantaggi della celebrità?
«Onestamente sul piatto della bilancia gli aspetti positivi della celebrità sono
molto più forti di quelli negativi. Certo, non hai nessuna di privacy, ci sono celebrità
come John Lennon che finiscono addirittura ammazzate, e ci sono momenti in cui avrei amato
molto non essere famoso. Ma d'altra parte vivi una vita eccitante, interessante, creativa,
hai benefici di altra gente, che magari li merita più di te, non ha: il miglior tavolo ai
ristoranti, i migliori posti al teatro; il tuo medico molla tutto quello che sta facendo
nel weekend per venirti a visitare, il poliziotto ti ferma per eccesso di velocità e
quando scopre chi sei ti lascia andare senza farti la multa. Quando sento giovani attori
che si lamentano della loro celebrità dico sempre loro sentirsi benedetti!»
Se ci tiene tanto alla sua privacy, come mai ha accettato di essere il soggetto
del documentario di Barbara Koppel?
«Perché non sapevo cosa avrebbe fatto. Doveva essere un documentario sul jazz, e poi
dopo una settimana, lei così dolce e carina ha cominciato a chiedere di seguirci di più,
e prima che me ne rendessi conto ero sedotto dalla cinepresa, peraltro così poco visibile
che non ci facevo nemmeno caso».
È dunque vero, come ci fa vedere il documentario,
che sua moglie decide spesso per lei, e che sua madre disapprova sia il suo matrimonio che
la sua carriera?
«Ma questa è la mia vita! Soon Yi è una persona molto forte che sa esattamente
quello che vuole, e i miei genitori, che sono ancora vivi, a 91 e 97 anni, preferirebbero
tuttora che io fossi un farmacista. Ancora adesso che ho 62 anni pensano che la mia
carriera nel mondo dello spettcolo potrebbe crollare da un momento all'altro e che se
avessi un diploma di farmacia potrei esercitare la mia professione in qualunque stato
d'America».
Lei è al suo terzo matrimonio. Si sente cambiato?
«Sì, nel senso che sono più felice, non ho problemi, non provo mai un senso di
scontentezza. Posso garantire che questo sarà il mio ultimo matrimonio, che avrà
successo e rimarremo sposati fin quando vivremo. È un sentimento molto forte e
meraviglioso».
Va spesso al cinema?
«Sì, almeno una volta a settimana, ma non mi piacciono molto i film americani
contemporanei, preferisco rivedermi i vecchi film, Fellini, Buñuel, Bergman, Renoir. Non
ho mai amato molto leggere, lo faccio perché sento che devo, ma data la scelta fra la
pagina scritta e un film o una commedia in teatro preferisco sempre la scena drammatica».
Lei cita spesso la sua paura
di volare. Ha altre paure o superstizioni?
«Sono claustrofobico e non entro mai nelle gallerie. Ma la cosa peggiore è che sono
un allarmista, che non vuol dire essere ipocondriaco, come spesso mi accusano. Per
esempio, se ho un dolore al dito ce l'ho davvero, non lo sto immaginando, ma penso che sia
un tumore al cervello; se mi sveglio con il mal di gola, ho davvero il mal di gola, ma
penso che come minimo si tratti di un cancro alla gola, e questo mi causa una grande dose
di sofferenza e ansia. E sono superstizioso. Per esempio quando affetto una banana sui
cereali, che è la mia colazione da decenni a questa parte, taglio solo sette fettine di
banana. Non potrei mai tagliarne otto né sei, perché avrei paura che mi succederebbe
qualcosa di terribile quel giorno».
Che effetto le ha fatto essere la voce di una formica in "Antz"?
«Quello l'ho fatto esclusivamente come favore personale a Jeffrey Katzeneberg. Mi
aveva detto che sarebbe stato il lavoro più facile che avrei mai fatto, che sarei dovuto
andare in studio a registrare la mia voce per cinque mezze giornate e basta. E invece è
stata la cosa più dura che io abbbia mai fatto. Mi facevano registrare ogni battuta
centinaia di volte e il giorno dopo si ricominciava daccapo. Le battute erano tutte
scritte sulla pagina, io improvvisavo solo qualche variazione qui e là. Del resto, anni
fa ho recitato uno spermatozoo, ho pensato che fare la formica fosse un passo avanti!»
Cosa ci può dire sul suo prossimo progetto?
«Sto preparando un film su un musicista, ambientato negli anni Trenta, a colori, con
Sean Penn, Uma Thurman e una nuova attricie inglese, Samantha Morton. Io non ne sono
interprete, si svolge in California, a New York, Detroit, Saint Louis e nel New Jersey. E
ovviamente lo girerò tutto a New York».
di Silvia Bizio
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